In netta ripresa il credito al consumo nel 2022

Dopo i cali fisiologici legati al periodo della pandemia, sono in netta ripresa le richieste di credito al consumo. Anche se sono in crescita le domande, però, l’importo medio segna una lieve flessione, confermando la prudenza delle famiglie italiane. In base ai dati diffusi da EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF, si scopre che il 2022 ha visto una ripresa a doppia cifra del credito al consumo con un incremento complessivo delle richieste del +18,9% rispetto al 2021. Nell’anno passato si è registrata una crescita del 22,9% per le richieste di finanziamento personali, e del +16,7% per i prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi.
“Lo scenario continua a essere dominato dalle tensioni geopolitiche, dall’aumento dei tassi d’interesse e dalla prospettiva di un rallentamento della crescita economica, le cui ricadute peseranno sulle condizioni finanziarie delle famiglie” commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF. “Rispetto al primo semestre del 2022, le prospettive sull’economia e il mercato del credito appaiono in affanno a causa degli effetti delle tensioni generate dal conflitto in Ucraina e dall’inflazione. Alla luce di tale contesto, nei prossimi mesi la domanda di prestiti potrà subire una flessione a causa del rallentamento dei consumi, in particolare su quelli durevoli”. 

Italiani prudenti: richiedono importi più ridotti

Per il terzo anno consecutivo l’importo medio dei finanziamenti richiesti segna una flessione del 3,9% e un valore di 8.106 euro (contro gli 8.434 euro del 2021 e i 8.895 euro del 2020). La dinamica dell’assottigliarsi dell’importo richiesto coinvolge sia i prestiti personali con un valore pari a 12.223 euro (-1,4% rispetto al 2021) sia i prestiti finalizzati che si fermano a 5.717 euro (-8,5% vs 2021).
Se entriamo nel dettaglio della distribuzione dei prestiti per fascia di importo, il dato cumulato mostra come oltre un italiano su due richiede importi inferiori ai 5.000 euro (57,3% del totale), seguiti dagli scaglioni appena superiori: 10.000-20.000 euro (16,4%) e 5.000-10.000 euro (15,1%). La domanda, seppur così frazionata in importi contenuti, viene comunque dilazionata su un arco temporale superiore ai 5 anni per il 22,7% degli italiani, al fine di pesare il meno possibile sul bilancio familiare.

Prestiti finalizzati e prestiti personali, in cosa differiscono?

La dinamica prudente delle famiglie italiane si rispecchia anche nello spaccato delle due forme tecniche prese in esame: il 75,1% delle richieste di prestiti finalizzati ha una estinzione del debito non superiore ai 3 anni; mentre i prestiti personali, che spesso rappresentano un impegno particolarmente gravoso per le famiglie, tendono a concentrarsi nella fascia di durata superiore al lustro, 43% del totale.
Osservando, infine, la distribuzione delle richieste di prestiti (aggregato personali e finalizzati) in relazione all’età del richiedente, il Barometro CRIF evidenzia come nel 2022 la fascia compresa tra i 35 e i 54 anni sia stata quella maggioritaria, con una quota pari al 45,2% del totale.

Nel 2023 gli ultraricchi puntano sul mercato immobiliare 

Nonostante il periodo di instabilità e incertezza, l’ultimo Wealth Report pubblicato da Knight Frank attesta come nel 2022 quattro su dieci tra gli ‘ultra-high-net-worth individuals’ (UHNWI), gli individui con un patrimonio netto elevato, abbiano registrato una crescita della propria ricchezza. Secondo i dati raccolti dall’Attitude Survey, condotto lo scorso novembre su oltre 500 investitori tra banchieri, advisor e family officer (gestori di patrimoni familiari), in questo scenario il real estate si riconferma la migliore opportunità di investimento per il 46% degli intervistati.
“L’immobiliare rappresenta uno dei migliori settori di investimento, come scudo contro l’inflazione o per diversificare il proprio portfolio – commenta Flora Harley, Partner del Dipartimento di Ricerca Residenziale di Knight Frank -. Un intervistato su dieci è alla ricerca di soluzioni sicure, controllabili e dal grande valore aggiunto, e le trova nel real estate”.

I compratori più attivi si trovano in Medio Oriente

A livello globale, la media delle case di proprietà degli UHNWI è di 4,2 e addirittura di 5 in Asia, trend che dimostra il forte interesse in generale nei confronti degli immobili. I compratori più attivi, inoltre, si trovano in Medio Oriente. Si prevede però che gli alti tassi di interesse comporteranno un rallentamento della domanda nel mercato immobiliare residenziale per il 2023. Il 15% degli UHNWI sta cercando una casa da acquistare contro il 20% dell’anno precedente. Secondo il sondaggio, Stati Uniti, Regno Unito e Spagna sono le tre migliori location per acquistare una casa. Australia e Francia completano la classifica delle top 5.

Real estate: una vera e propria opportunità per gli UHNWI

Il real estate rappresenta una vera e propria opportunità per gli UHNWI. A livello globale, un intervistato su cinque sta pianificando investimenti diretti nel settore immobiliare per il 2023, mentre il 13% è alla ricerca di opportunità indirette. Il dato è abbastanza in linea con il 20% dello scorso anno, riconfermando l’attrattiva del mercato nonostante l’incertezza economica. Salute, logistica/industria, uffici, affitti privati, e hotel/svago sono i settori più appealing nel 2023 per circa un terzo degli intervistati.

Una finestra per il capitale privato

A fronte di un investimento immobiliare, i buyer prendono sempre più in esame fattori come fonti energetiche (57%), opportunità di ristrutturazione (33%) e materiali utilizzati, in particolare per ridurre l’impronta carbonica (30%).
“Con il 68% degli UHNWI che si aspetta una crescita della ricchezza nel 2023, prevediamo cambiamenti nelle strategie di diversificazione del portafoglio, con il settore del real estate che gioca un ruolo sempre più rilevante negli ultimi anni – spiega Liam Bailey, Global Head del Dipartimento di Ricerca di Knight Frank -. La pressione al ribasso sui valori degli immobili, dovuta a tassi di interesse più elevati, ha creato una finestra per il capitale privato, in particolare perché stiamo entrando in una nuova fase di mercato con minimi storici in termini di stock di proprietà di fascia alta nei mercati residenziali e commerciali”.

Mutui variabili: in un anno le rate aumentano del 36%

Nel corso del 2022 le rate di un mutuo medio a tasso variabile sono aumentate del 36%, passando da 456 euro a 619 euro al mese. Lo ha scoperto Facile.it, che per la sua analisi ha preso in esame un finanziamento a tasso variabile sottoscritto a gennaio 2022 da 126.000 euro con la durata di 25 anni.
Secondo Facile.it, a distanza di soli 12 mesi il mutuatario oggi paga una rata di oltre 160 euro in più rispetto a quella di partenza, con un tasso di interesse (TAN) passato dallo 0,67% al 3,33%.

Euribor a 3 mesi: entro giugno 2023 crescerà ancora?

La corsa dei tassi variabili non sembra essere terminata. Anzi, la BCE ha già annunciato che nel 2023 continuerà ad aumentare gli indici, con inevitabili conseguenze anche sulle rate dei mutuatari.
Se si guarda alle aspettative di mercato (Futures sugli Euribor), gli esperti prevedono che entro giugno 2023 l’Euribor a 3 mesi cresca ancora di quasi 1 punto e mezzo. Nel caso queste previsioni si avvereranno la rata mensile del mutuo preso in esame arriverebbe addirittura a 718 euro. Ovvero, oltre 260 euro in più rispetto a quella sottoscritta a gennaio 2022.

Aumenti significativi anche per il tasso fisso

Anche sul fronte dei tassi fissi nel 2022 sono stati rilevati aumenti significativi. Se per chi ha un mutuo in corso non è cambiato nulla, chi sceglie oggi di sottoscrivere questo tipo di finanziamento trova sul mercato indici più alti rispetto al passato. Guardando alle migliori offerte disponibili online, emerge che oggi per un mutuo fisso (126.000 euro in 25 anni per un immobile da 180.000 euro) i tassi di interesse (TAN) partono da 3,26%, con una rata iniziale di circa 614 euro. Dodici mesi fa, invece, le migliori offerte partivano da 1,05%, con una rata di circa 477 euro. Dati alla mano, quindi, questo finanziamento oggi costa circa 137 euro in più al mese. Vale a dire oltre 40.000 euro in più di interessi se si considera l’intera durata del prestito.

Si riduce la distanza tra tasso fisso e variabile

“Il 2022 è stato caratterizzato da un aumento generalizzato degli indici dei mutui, un trend che potrebbe continuare anche nel 2023, soprattutto per quanto riguarda i tassi variabili – spiegano gli esperti di Facile.it -. In un contesto di grande cambiamento e dinamicità come quello attuale, dove la distanza tra tasso fisso e variabile si è ridotta, non sempre è semplice orientarsi: basti pensare, ad esempio, che oggi ci sono sul mercato mutui variabili con indici più alti rispetto a quelli fissi. Il consiglio, quindi, è di confrontare le offerte di più banche, e affidarsi a consulenti esperti per individuare il prodotto più adatto”.

Skype: l’AI traduce le chiamate e imita la voce di chi parla

Una nuova funzione che sfrutta l’Intelligenza Artificiale per tradurre in tempo reale e in altre lingue le videochiamate tra gli utenti. È quanto ha annunciato Skype, che si appresta a introdurre una novità che migliorerà la qualità delle chiamate tra utenti che parlano lingue diverse, rendendole più naturali.
Il software proprietario freeware di messaggistica istantanea e VoIP ha lanciato  TruVoice, la nuova funzione che impiega un timbro vocale vicino a quello di chi parla poiché utilizza una sintesi vocale dall’effetto non ‘robotico’. Microsoft ha definito TruVoice “un enorme passo avanti per Skype, poiché consente a persone che parlano lingue diverse di comunicare facilmente” . La comunicazione è infatti più naturale, anche quando a parlare tra loro sono persone di nazionalità differenti. 

Il campionamento ‘mima’ il timbro vocale dell’utente

Al momento le uniche lingue supportate da TruVoice sono l’inglese, lo spagnolo, il francese, il tedesco e il cinese, ma in futuro ne verranno aggiunte anche altre.
Finora Skype era già in grado di rilevare automaticamente lingue diverse e avviare la traduzione del testo e dell’audio, ma lo faceva usando appunto un sistema robotizzato, che permetteva di raggiungere lo scopo della comprensione tra gli utenti, sebbene con poca enfasi posta alla qualità dell’audio. Ora il campionamento effettuato dall’AI ‘mima’ il parlato dell’utente senza però registrare e conservare l’audio delle parole. Skype fa quindi un passo ulteriore verso l’abbattimento delle barriere linguistiche tra gli utenti. La funzionalità, una volta disponibile, sarà visibile anche attraverso le app mobili di Skype, seguendo il menu ‘altro’ e poi ‘traduci’ nel riquadro basso della finestra della chiamata in corso.

Una combinazione di tecnologie

“Skype usa l’Intelligenza Artificiale per rilevare automaticamente le lingue parlate durante una videochiamata e tradurle in tempo reale – ha spiegato Microsoft -. Questo viene fatto utilizzando una combinazione di tecnologia di riconoscimento vocale ed elaborazione del linguaggio naturale, che sono in grado di comprendere e interpretare le parole pronunciate e tradurle nella lingua desiderata. Inoltre – ha aggiunto la società -, se si attiva l’uso della voce naturale, utilizzeremo l’Intelligenza Artificiale per campionare le parole e ottimizzare la traduzione in modo che suoni uguale, rendendo la conversazione più umana”, riporta Ansa.

Comprende le parole e ne interpreta il senso

Con Skype TruVoce, riferisce Money.it, si possono fare riunioni o conversazioni fra persone che parlano lingue diverse senza aver bisogno di qualcuno che faccia la traduzione simultanea perché ci penserà Skype. L’AI rileva infatti automaticamente le lingue parlate durante la videochiamata e traduce simultaneamente il vocale. Utilizzando la combinazione di tecnologie di riconoscimento vocale ed elaborazione del linguaggio naturale, l’AI è in grado di riconoscere la lingua in cui le parole vengono pronunciate, comprenderle, interpretarle in senso semantico e tradurle nella lingua desiderata. Di fatto, TruVoce elimina l’effetto robotico tipico da ‘risponditore automatico’. 

L’aumento dei prezzi e la spesa per i regali di Natale 2022

Manca poco all’inizio delle vacanze natalizie 2022 e gli italiani si trovano letteralmente a fare i conti con gli aumenti dei prezzi. E prevedibilmente l’aumento dei prezzi ha influito anche sull’entusiasmo per i festeggiamenti natalizi. Per poco più della metà (51%) l’entusiasmo è rimasto invariato rispetto allo scorso anno, ma per il 26% è decisamente minore rispetto al Natale 2021. Sono alcuni dati dello studio condotto dal team di Ipsos Public Affairs sulle intenzioni d’acquisto e le prospettive di spesa per gli acquisti e i festeggiamenti natalizi di quest’anno.

I soldi sono in cima alla lista dei desideri

In cima alla lista dei desideri si collocano i soldi, con il 14% che spera di riceverne per le imminenti feste natalizie e di fine anno. A seguire, beni materiali, come abbigliamento, libri e profumi, o anche beni immateriali, come salute e serenità. Al contempo, non di rado accade di ricevere un regalo non gradito o di cui non si ha bisogno. In questo caso, il 42% decide di tenerlo, il 25% di regalarlo a qualcun altro, il 20% di cambiarlo, e il 18% di venderlo, spingendo sempre più il fenomeno del second-hand. Soltanto il 12% dichiara di fare una donazione e il 6% di restituirlo.

Shopping natalizio, preferiti abbigliamento e accessori

Al primo posto tra i regali ci sono abbigliamento e accessori (45%), acquistati in negozio (75%) o online (52%). Seguono i buoni regalo (31%), libri (30%), acquistati principalmente online (69% vs 51% in store) e articoli di bellezza (30%, 62% acquistati online e 60% in store). Il 27% degli italiani ha già acquistato o prevede di acquistare, principalmente online (77%), articoli di elettronica, e il 26% giocattoli e giochi, e articoli per la casa, comperati il più delle volte presso le insegne fisiche (74%).
Soltanto il 16% prevede di regalare un’esperienza, come eventi, viaggi, attività, il più delle volte acquistata online (90%).

Si riduce la spesa per regali, pranzi, cene e viaggi

Il 65% afferma di provare stress per l’aumento dei prezzi, e se il 53% dichiara di cercare promozioni, prezzi, affari o coupon, il 40% ha approfittato degli sconti del Black Friday, mentre l’8% prevede di acquistare prodotti di seconda mano. Le prospettive di spesa sembrano davvero pessimiste. Pur distinguendo tra spese per regali, cenoni, pranzi e viaggi, durante le vacanze natalizie le aspettative di spesa sono sensibilmente ridotte rispetto allo scorso anno. Una percentuale compresa tra il 61% e il 74% prevede di spendere meno del 2021, il 12%-27% pensa di mantenersi sugli stessi livelli dello scorso anno, e solo il 4%-5% mette in conto un aumento della spesa, dovuto però quasi esclusivamente alla dinamica inflattiva. In pratica, a parità di acquisti, aumentando i prezzi aumenta la spesa.

Mercato del lavoro, 5 milioni di persone da inserire 

Ogni 100 disoccupati in meno 24 posti vacanti in più. Tra disoccupati e scoraggiati sono quasi 5 milioni le persone da inserire nel mercato del lavoro italiano, che diventa sempre meno efficiente per un problema di matching tra domanda e offerta di lavoro in continuo peggioramento. Il disallineamento crea un apparente paradosso: quando aumenta la disoccupazione, non diminuisce la difficoltà a reperire le figure professionali richieste dalle imprese. Lo rivela la nuova indagine di Randstad Research, che ha analizzato il mancato incontro tra domanda e offerta nei diversi settori e territori, identificando per la prima volta gli spostamenti della ‘curva di Beveridge’, lo strumento che permette di analizzare l’efficienza dei diversi mercati del lavoro misurando la variazione percentuale del tasso dei posti vacanti al variare della disoccupazione.
Passato il periodo Covid (con il blocco dei licenziamenti), la ripresa del lavoro 2022 ne sconta l’eredità: mentre diminuisce il tasso di disoccupazione (che resta comunque alto), continua a crescere il numero di offerte di lavoro scoperte. Oggi, ogni 100 disoccupati in meno si contano mediamente 24 posti vacanti in più.

La disoccupazione di lunga durata

Una delle motivazioni che hanno portato la curva Di Beveridge italiana a peggiorare nel periodo 2005-2009 e 2015-2019, evidenzia Randstad Research, è la disoccupazione di lunga durata, che causa una de-professionalizzazione dei profili. Seppure allineata alla media Ocse nella classifica di disoccupazione tra 6 mesi e un anno (15% nel 2020), l’Italia è al primo posto per disoccupati da più di 6 mesi, quasi il 70% del totale delle persone senza lavoro, più del doppio della media (33%). Alla fine del 2021, il 49% dei disoccupati italiani non lavorava da meno di un anno, il restante 51% da più di 12 mesi. Il 20,4% dei disoccupati lo è da più di 3 anni.
Ma sono forti le differenze regionali: i disoccupati oltre i 30 mesi sono concentrati in alcune regioni del Sud. Un modello econometrico elaborato da Randstad Research per analizzare la capacità di assorbire gli shock della disoccupazione e il rapporto tra posti vacanti e disoccupazione regione per regione evidenzia il divario tra Mezzogiorno e le altre regioni. Trentino-Alto Adige, Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia mostrano la maggiore efficienza nel rapporto domanda-offerta di lavoro, considerato la media del tasso di disoccupazione e del tasso dei posti vacanti nel periodo 2015-2019 (è più efficiente il mercato del lavoro che riesce a combinare un livello più basso di disoccupazione con un livello contenuto di posti vacanti).
È in grave ritardo, invece, il Mezzogiorno, con Calabria e Sicilia in coda alla classifica del rapporto disoccupazione/posti vacanti. Più nel dettaglio, la classifica di efficienza dei mercati del lavoro regionali evidenzia un gruppo di testa, composto da Trentino-Alto Adige, Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Toscana, un gruppo intermedio con Piemonte, Marche, Liguria, Umbria, Lazio e Abruzzo, e poi le regioni più in difficoltà, Basilicata, Molise, Sardegna, Puglia, Campania, Sicilia e Calabria.

Cosa accade nei vari settori

Ci sono anche profonde differenze tra i settori. Confrontando il rapporto tra posti vacanti e disoccupazione, si evidenziano in particolare due casi, quello dell’informatica, dove troviamo scarsissima disoccupazione ma grande difficoltà di reperimento, e quello della ristorazione, dove insieme a una difficoltà di reperimento si associata elevata disoccupazione. Anche i settori possono dividersi in 3 gruppi sulla base dell’efficienza del relativo mercato, in base al rapporto tra tasso di disoccupazione e posti vacanti.
I più efficienti sono cave e miniere, fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata, attività finanziarie, acqua e rifiuti, servizi di informazione e comunicazione, attività artistiche, sportive di intrattenimento e divertimento.
Poi vengono gli altri servizi, trasporto, attività professionali scientifiche e tecniche, sanità e assistenza sociale, noleggio agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese.
I comparti meno efficienti sono industrie manifatturiere costruzioni, attività dei servizi di alloggio e ristorazione, commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli.

Come funzionano le docce senza porte?

Tutti ormai conoscono bene le docce senza porte: questa soluzione così particolare è infatti sempre più presente nelle nostre case.

Dapprima sono stati gli hotel di lusso a proporre tale tipo di doccia, ma già qualche anno dopo questa novità le persone hanno cominciato a pensare a tale tipo di soluzione in casa propria.

Ma come funziona esattamente una doccia senza porte e quali sono i vantaggi o svantaggi da considerare installandone una? Questo è proprio quel che approfondiremo di seguito.

Cosa è una doccia senza porte?

Diciamo innanzitutto che la doccia senza porte, detta anche “Walk-In”, è un particolare tipo di box doccia aperta e che non prevede nessun tipo di chiusura.

C’è soltanto una parete di vetro, solitamente posizionata nella parte opposta rispetto quella in cui è presente la colonna doccia, e si può entrare ed uscire lateralmente.

Le caratteristiche di una doccia aperta

Caratteristica tipica di una doccia aperta, a parte la nota assenza di porte, è quella di essere installata a filo pavimento, soluzione che contribuisce ad aumentare il livello di eleganza nella stanza da bagno, anche se è comunque possibile optare ugualmente per un piatto doccia.

Dato che si tratta di un tipo di doccia che occupa molto spazio, è necessario installarla sul lato più lungo del bagno, e decidere poi se lasciarla aperta sui due lati o soltanto su uno.

Considera infatti che questo tipo di doccia non occupa meno di 1,5 metri in lunghezza, per cui puoi pensare ad una goccia di questo tipo soltanto se il tuo bagno è abbastanza grande.

Vantaggi e svantaggi delle docce senza porte

Vediamo di seguito quali potrebbero essere gli eventuali vantaggi e svantaggi delle docce senza porte.

Per quel che riguarda i vantaggi possiamo citare sicuramente l’estetica ad alto effetto che cambia letteralmente volto al tuo bagno, rendendolo molto più elegante e luminoso.

Altro vantaggio delle docce senza porte è certamente quello della maggiore facilità nelle operazioni di pulizia, dato che ci sono meno pareti da pulire ed in particolare una sola parete a vetro.

Possiamo inoltre citare, tra i vantaggi di una doccia senza porta, la facilità di ingresso dato che il filo pavimento consente di accedere senza dover salire il classico gradino, tipico delle docce tradizionali.

Dunque si tratta di una soluzione particolarmente utile anche laddove in casa ci siano persone con problemi di mobilità.

Infine, fattore questo che certamente farà piacere a chi cerca attualmente informazioni su questo tipo di soluzione, le docce senza porte hanno generalmente un prezzo più basso rispetto i classici box doccia con binari e porte scorrevoli.

In realtà questo tipo di docce non presentano particolari svantaggi, se non quello di aver bisogno di un certo spazio per poter essere installate. Non è dunque una soluzione che va bene per bagni piccoli, eventualità nella quale è bene optare per un box doccia classico con ante scorrevoli per recuperare spazio.

Le varianti della doccia senza porte

Non esiste in realtà un’unica tipologia di doccia senza porte ma al contrario vi sono determinate varianti,  in base ai gusti o alle necessità progettuali di ciascuno.

Esistono per questo docce senza porte aperte soltanto su un lato o su due, con parete in vetro incernierata, a parete o ad angolo.

Oggi sul mercato esistono tantissime finiture e materiali diversi che consentono di soddisfare qualsiasi necessità progettuale e adattarsi perfettamente agli spazi a disposizione.

Esistono diverse finiture per i profili (da quelle classiche alle opacizzate), diversi tipi di vetro (incluso il trasparente, l’opaco ed il satinato), e diverse tipologie di installazione che consentono di lasciare a vista il solo vetro.

Commercio digitale: in Italia è stabile e superiore alla media globale

Negli ultimi tre mesi del 2022 il commercio digitale globale è diminuito del 2% rispetto allo stesso periodo del 2021. L’Italia si dimostra invece più propensa allo shopping online, e l’andamento complessivo del commercio digitale rimane invariato, a dispetto, ad esempio, dei Paesi nordici (-21%), il Regno Unito (-13%), la Germania (-10%), o l’Olanda (-6%). È quanto emerge dai dati relativi al terzo trimestre 2022 dello Shopping Index, il report trimestrale di Salesforce che descrive l’andamento dello shopping online attraverso i dati relativi alle transazioni di oltre un miliardo di consumatori in tutto il mondo.

I dati italiani ed europei

L’Italia ha registrato una crescita complessiva del traffico del 7%, +4% rispetto al traffico globale (3%), ma è tra i paesi con i tassi di conversione, ovvero il rapporto tra traffico online e ordini, più bassi al mondo (1,1%). Nel nostro paese il traffico e-commerce generato dai social media è pari al 10%, superando la media globale (8%), ma se a livello globale il traffico social generato da tablet ha registrato la crescita maggiore (+16%), in Italia il device che genera più traffico è lo smartphone (13%), +1% rispetto al terzo trimestre 2021. In Europa il calo è stato un po’ più marcato rispetto alla media globale, probabilmente a causa dell’impatto della guerra in Ucraina. Le vendite online in Europa nel terzo trimestre 2022 sono diminuite del 9% su base annua, con un calo del volume degli ordini del 3%. Tuttavia, i consumatori hanno speso di più nel settore fashion, in particolare per calzature (+18%) e pelletteria (+17%), mentre si evidenzia un calo significativo delle categorie toys&learnings (-22%) e casa (-19%).

I dati globali

A livello globale il numero di consumatori digitali (-4%) e il volume degli ordini (-5%) sono diminuiti rispetto all’anno precedente, mentre il traffico online è aumentato del 3% su base annua. Il traffico da dispositivi mobili è cresciuto del 6% su base annua, mentre il traffico generato da PC è diminuito del 2%. Gli ordini globali sono diminuiti del 4% su base annua, una riduzione più contenuta rispetto al calo dell’8% registrato nel secondo trimestre. Aumentano però dell’1% gli ordini generati da PC, un dato positivo rispetto al -4% registrato nel secondo trimestre, riferisce Adnkronos.

Una rotta costante sulla via del commercio digitale

“A oggi il commercio elettronico si sta pian piano riequilibrando dopo l’impennata sostenuta durante la pandemia, ma ciò non toglie che viviamo in un mondo sempre più digitale, dove le aziende devono adattarsi in continuazione alle mutevoli condizioni del mercato in modo da soddisfare al meglio le richieste dei consumatori – commenta Maurizio Capobianco, Area VP Cloud Sales di Salesforce -. L’Italia, che in questo terzo trimestre 2022 ha mantenuto costante la propria rotta sulla via del commercio digitale, al momento si sta dimostrando più che all’altezza di tali aspettative superando la media globale, non solo nel commercio digitale, ma anche nel traffico e-commerce generato dai social media”.

Lotta al cambiamento climatico: le azioni sostenute dagli italiani

In occasione della COP27 sotto la presidenza dell’Egitto Ipsos ha condotto un sondaggio d’opinione per indagare le opinioni dei cittadini di 34 Paesi sulle politiche piper atte ad affrontare la minaccia del cambiamento climatico. I risultati evidenziano che l’opinione pubblica si dichiara maggiormente favorevole a sostenere azioni quali sussidi governativi per le tecnologie ambientali, modifica dei prezzi e incentivi per i prodotti ecologici. Al contrario, le politiche riguardanti un aumento delle tasse sugli spostamenti più dannosi per l’ambiente, sui prodotti alimentari e sulle fonti non rinnovabili ricevono poco sostegno da parte degli intervistati.

Dalle sovvenzioni governative alla modifica dei prezzi dei prodotti

Tra le azioni e le politiche maggiormente sostenute dagli italiani per affrontare il cambiamento climatico il 68% si dichiara favorevole alle sovvenzioni governative per rendere maggiormente economiche le tecnologie ecologiche rispettose dell’ambiente, come, ad esempio, pannelli solari, veicoli elettrici. Il 61% si mostra favorevole a un’eventuale modifica dei prezzi dei prodotti, al fine di rendere più economici e accessibili quelli ecologici, e più costosi quelli dannosi per l’ambiente. E se il 57% si dichiara favorevole agli incentivi per gli investimenti in prodotti e servizi ecologici la medesima percentuale è propensa a concedere più spazio stradale a pedoni e ciclisti a scapito degli automobilisti.

Divieto di accesso ai veicoli inquinanti e più tasse sulle fonti non rinnovabili 

Quali sono, invece, le azioni per combattere il cambiamento climatico sostenute in misura minore dagli italiani? Il 46% degli intervistati italiani si dichiara favorevole a sostenere il divieto di accesso ai veicoli a benzina/gas/diesel nelle aree centrali delle città e dei paesi per creare zone libere da veicoli, e il 43% è favorevole all’aumento delle tasse sui viaggi e spostamenti più dannosi per l’ambiente. L’obbligo per tutti i punti ristoro di offrire opzioni vegane è sostenuto dal 39%, e l’aumento delle tasse sui prodotti alimentari, come carne rossa e prodotti lattiero-caseari, dal 33%, mentre l’aumento delle tasse sulle fonti non rinnovabili, come ad esempio gas o petrolio, dal 26%. 

Informare ed educare i cittadini: di chi è la responsabilità?

Secondo gli intervistati, la responsabilità di informare ed educare il pubblico sulle azioni che dovrebbero essere intraprese in Italia per combattere il cambiamento climatico spetta, principalmente, ai dipartimenti governativi e ministri/funzionari eletti (46%), seguiti dagli enti locali (42%), i media (41%) e gli scienziati (37%). Il 29% degli italiani sostiene che sia compito della scuola, il 16% delle aziende, il 12% degli attivisti ambientali, e soltanto il 9% dei datori di lavoro. 

Social network: come usarli a vantaggio della comunicazione aziendale?

La potenzialità divulgativa dei social network li ha resi un luogo privilegiato per l’informazione: anche grazie a loro, la comunicazione e la propagazione delle notizie è diventata istantanea. Ma se questa connessione perenne sul mondo comporta grandi benefici, la libertà di accesso e gestione dell’informazione genera anche grossi rischi. Un esempio è il fenomeno delle fake news. Per questo motivo è essenziale controllare le fonti e affidarsi solo a quelle attendibili. A oggi, i principali social per il B2B sono Meta (Facebook e Instagram), TikTok, Pinterest, Twitter e LinkedIn. Secondo una ricerca di Dataportal, ripresa da un’analisi Cerved, la media mondiale di permanenza quotidiana su tali piattaforme per singolo utente è di 2,27 ore. È intuibile quanto sia importante per un’azienda il giusto presidio di questi luoghi digitali.

Sfruttare i canali Corporate con la giusta strategia commerciale

Essere presenti sui principali canali di comunicazione social non è più solo consigliato, è divenuto un imperativo. Non esserci, vuol dire non esistere, o quasi. Allo stesso modo, è categorico avere una strategia ben precisa, perché avere canali Corporate non basta. Gli utenti infatti sono sempre più smaliziati, e utilizzano questi mezzi per ottenere informazioni sensibili anche ai fini dell’acquisto. Da qui nasce la necessità di coinvolgere nella comunicazione ai propri prospect, partner autorevoli. Essere citati dagli attori che hanno community verticali, e sono riconosciuti come affidabili, è il punto di partenza per far parlare di sé nel modo corretto.

Viralità e storytelling

La viralità di un contenuto spesso è un processo incontrollabile che dipende da numerosi fattori. Però, con i giusti accorgimenti, è possibile produrre contenuti che hanno buone probabilità di generare passaparola. La prima domanda da porsi per raggiungere quest’obiettivo è: chi posta questo contenuto? Se a farlo è una pagina o un personaggio noto, con una community ampia e attiva, il nostro contenuto avrà molte più chance di diventare virale. Far parlare di sé in modo naturale, sfruttando informazioni dal taglio informativo ed editoriale legate all’azienda, è uno strumento eccellente per acquisire visibilità, autorevolezza e passaparola online. La seconda considerazione da fare è relativa al contenuto in sé: è interessante? Cattura l’attenzione di un utente? Ha probabilità di essere condiviso? Se le risposte sono affermative, siamo sulla strada corretta.

Non sottovalutare il target

Il terzo elemento da non sottovalutare è il pubblico. Un target generalista, per quanto ampio, sarà potenzialmente meno reattivo di un piccolo pubblico mirato. I social network conservano un numero di informazioni molto ampio su ciascun utente: luogo di nascita, luogo di residenza, sesso, età, interessi, posizione lavorativa e tanto altro. Sarebbe da ingenui pensare che chi utilizza questi strumenti a scopi professionali non utilizzi questi dati per indirizzare meglio le proprie comunicazioni. Alla luce di quanto detto, va da sé che avvalersi dell’ausilio di partner specializzati aiuti nell’individuazione della strada corretta da intraprendere.