Great Regret: quando i lavoratori si pentono di avere cambiato lavoro 

Negli ultimi 12 mesi in Italia il 46% dei lavoratori ha cambiato lavoro o ha intenzione di farlo, una percentuale che raggiunge il 77% per gli under 27. E il 55% di chi dice di voler cambiare lavoro sta già facendo colloqui. Ma non tutti quelli che lo hanno fatto hanno trovato quel che cercavano. Il 41% si è infatti pentito della scelta fatta. Si tratta del fenomeno conosciuto negli Stati Uniti come Great Regret, che in Italia caratterizza maggiormente gli uomini e le persone con più di 50 anni di età. Gli ultimi tre anni hanno infatti provocato una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro, e anche il fenomeno delle Grandi Dimissioni, che ha caratterizzato l’uscita dalla pandemia, sembra essere tutt’altro che concluso. Sono alcune evidenze della ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano.

Quiet Quitter e Job Creeper

Un altro trend emergente è quello dei cosiddetti Quiet Quitter. Il 12% dei lavoratori italiani, circa 2,3 milioni, oggi si limita a fare il minimo indispensabile e non è coinvolto emotivamente nelle attività lavorative. Questo, perché non si sente valorizzato nei propri talenti e ha deciso di ‘spegnersi’, utilizzando al minimo le proprie energie sul lavoro.
All’estremo opposto, c’è un 6% di lavoratori, circa 1,1 milioni, di cosidetti Job Creeper, ovvero coloro che non riescono a smettere di lavorare, anche nei momenti in cui ci si dovrebbe dedicare alla vita privata. Fenomeni diversi, ma che entrambi sono sintomo di un malessere diffuso.

Oggi solo il 7% dei lavoratori dichiara di essere ‘felice’ 

D’altronde, oggi solo il 7%, dei lavoratori, circa 1,3 milioni, dichiara di essere ‘felice’. E solo l’11% sta bene in tutte e tre le dimensioni del benessere lavorativo, psicologica, relazionale e fisica.
L’aspetto più critico è quello psicologico. Il 42% dei lavoratori ha avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere psicologico o relazionale.
Ma in questo mercato del lavoro così travagliato si aggiunge un’altra criticità. Il 59% delle organizzazioni prevede una crescita dell’organico nel 2023, ma il 94% ha difficoltà ad assumere nuovo personale. Una difficoltà che riguarda in primis le professionalità digitali, ma non solo. Mancano infatti anche profili tecnici, operai e manutentori.

Una sfida per la Direzione HR delle aziende

“In questo contesto di grande cambiamento la Direzione HR ha di fronte sfide importanti. Per riuscire a trasformare sé stessa ed essere di reale supporto alle persone e all’organizzazione, l’innovazione tecnologica può giocare un ruolo fondamentale – afferma Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. Tra le principali difficoltà per le organizzazioni, c’è quella di comprendere le competenze che saranno necessarie nei prossimi 3-5 anni per pianificare in maniera strategica le attività di riqualificazione, fondamentali per garantire l’impiegabilità futura delle persone e il successo del business. Ma solo il 15% ne ha chiara consapevolezza”.

I giovani vorrebbero un’Italia più giusta ed equa

Rispetto ai loro genitori o fratelli maggiori, gli under 35 hanno più timore di essere giudicati dagli altri, e si sentono meno liberi di esprimersi davvero per quello che sono. E se pensano che oggi la libertà di espressione sia uno dei valori più presenti in Italia, credono anche molta strada debba ancora essere percorsa su altri aspetti relativi all’essere pienamente sé stessi. I giovani, e i giovani adulti, vorrebbero un’Italia che permetta di essere pienamente sé stessi, lasciando chiunque libero di esprimersi, e vorrebbero un’Italia più giusta ed equa. È quanto emerge da una ricerca condotta da Eumetra per Lavazza, nell’ambito dell’iniziativa ‘L’Italia che vorrei’. Per l’occasione è stato chiesto ai giovani italiani quali sono i valori secondo loro più presenti oggi nel nostro Paese, e quali quelli in cui si identificano e che cercano di perseguire.

Più attenti alla sfera individuale rispetto agli over 35

Qualità Rossa racconta quindi un’Italia fatta di valori che si esprimono anche attraverso piccoli gesti, come quello di condividere un caffè. Ma oltre al rispetto per le diversità e la libertà di espressione, gli under 35 vorrebbero un’Italia più giusta ed equa. Diversamente dal resto della popolazione, però, sembrano essere più attenti alla sfera individuale, ancora in fase di compiuta realizzazione. A differenza degli over 35, che si concentrano su valori più ‘sociali’, come la lealtà e la dignità, i più giovani trovano infatti fondamentale poter lavorare sulla realizzazione di sé, anche con una punta di sana ambizione.

Ambiente e temi sociali non sono più presenti nella “musica”

Naturalmente anche l’ambiente è importante, ma in modo più concreto di quanto si potrebbe pensare. Non è soltanto infatti un invito generico al rispetto per il nostro pianeta, ma un’attenzione a perseguire la sostenibilità anche nel quotidiano, ad esempio, attraverso l’uso di borracce al posto delle bottiglie di plastica. Questi valori, importanti e auspicati, non si ritrovano però nella musica più ascoltata dai giovani. Se viene chiesto loro di citare un cantante che nelle sue canzoni esprime valori di giustizia, equità e libertà di espressione, si torna indietro almeno agli anni ’80, se non prima, con la citazione di ‘mostri sacri’ come Bob Dylan, De André, Guccini o Vasco Rossi.

I valori si esprimono con le stories

E anche i pochi cantanti contemporanei che si occupano di questi temi lo fanno quasi più tramite discorsi, stories e dichiarazioni, che con le loro canzoni, come nell’emblematico caso di Fedez, tra i cantanti più citati, ma del quale si fa fatica a trovare una canzone che ‘parli’ di valori. Non è il solo, però. Molto spesso a far pensare ai valori rappresentati è la reputazione degli artisti più che le canzoni, come dimostra il fatto che solo due intervistati su 10 riescano a citare qualche brano.

L’antistress naturale più potente? Il tramonto

Ammirare il tramonto può avere un effetto benefico sullo stato d’animo. Secondo uno studio riportato dal Washington Post, vedere un’alba o un tramonto è tra i momenti più intensi della giornata. Tanto forte che esperienze analoghe non hanno la medesima portata. Ad esempio, osservare un’opera d’arte o guardare le suggestive  immagini mostrate sullo schermo di un PC non possono essere paragonati al potere emotivo di sorprendersi di fronte alla natura. Alex Smalley, principale autore della ricerca e dottorando presso l’Università di Exeter in Inghilterra, ha condotto degli studi che dimostrano come queste esperienze possano incentivare sentimenti positivi e ridurre lo stress.

Cosa rivela la ricerca scientifica

La ricerca afferma con sicurezza che “i tramonti sono tra i fenomeni meteorologici transitori più belli che si verificano durante un giorno” e che “le persone trovano albe e tramonti i momenti più belli e potenti della giornata”. Tuttavia, lo stesso studio sostiene anche che mentre “un cielo azzurro e limpido può migliorare lo stato mentale” sicuramente “guardare un tramonto o un’alba regala un’emozione in più ”. “Lo stupore è in genere un sentimento difficile da evocare”, ha affermato l’autore Smalley, che ha ribadito che “i sentimenti di stupore possono anche migliorare l’umore, aumentare le emozioni positive e diminuire lo stress”. Sottolinea ancora Smalley: “Quando vediamo qualcosa di così profondo e travolgente, i problemi sembrano svanire o almeno ridursi nella loro proporzione. Il risultato? Non ci preoccupiamo più troppo”. Albe e tramonti danno sollievo Insomma.

Il momento perfetto

E’ però difficile cogliere l’attimo perfetto, quando cielo e atmosfera collaborano alla magia del tramonto. L’inquinamento atmosferico è spesso responsabile della perdita della nitidezza dello spettacolo, ma le nuvole possono anche contribuire riflettendo ulteriormente la luce solare sul terreno. L’ estate è un momento critico per vedere i tramonti, perché spesso ci sono troppe particelle nell’aria, mentre  la stagione migliore per vedere questo spettacolo naturale è durante l’inverno, quando il cielo è più pulito e limpido. 

Uno spettacolo che non si può programmare

Sebbene vedere un’alba o un tramonto sia difficilmente programmabile poiché si tratta di momenti estremamente brevi che cambiano nel corso di minuti, se non addirittura di secondi, goderne il fascino è senza dubbio benefico in termini di stato emotivo. Quindi, non dobbiamo far altro che imparare a saper cogliere l’attimo… e alzare gli occhi al cielo!

Noleggio auto: 148.827 immatricolazioni nel primo trimestre 2023 

Nel primo trimestre del 2023 il noleggio a lungo e a breve termine insieme hanno immatricolato 148.827 Passenger Cars e Light Commercial Vehicles, il 31,5% dell’intero mercato. Una percentuale dunque molto vicina a una quota di un veicolo su 3. Secondo l’analisi di Dataforce, il noleggio si conferma il canale di distribuzione che traina il mercato italiano dell’auto. In particolare, i primi tre mesi del 2023 registrano un record per il noleggio auto a lungo termine, che con 108.392 immatricolazioni segna +72,18% rispetto al 2022 e supera il record storico delle 94.741 immatricolazioni nel 2018. Il noleggio a breve termine, invece, seppur in forte ripresa con il +138% di immatricolazioni, è ancora lontano dai numeri degli anni pre-Covid.

Noleggio a lungo termine: le performance delle compagnie

Se l’anno scorso si parlava di crisi dell’auto oggi si può dire che per il noleggio auto a lungo termine il primo trimestre 2023 mostri segnali fortemente incoraggianti. Il trend delle immatricolazioni segna +65% a gennaio, +58% a febbraio e +89,70% a marzo. Salgono tutti i segmenti, ma soprattutto il Captive, quello delle case produttrici, che avvicina sempre più al segmento Top. A segnare le performance più interessanti sono due compagnie del segmento Captive della galassia FCA-Stellantis: Leasys e Drivalia. Leasys ha segnato un +128,78% diventando il player numero 1 in Italia davanti a Arval e Drivalia. Anche la giapponese KINTO del gruppo Toyota raddoppia la flotta, confermando l’interesse verso lo Stivale.

Noleggio a breve termine a quota 21.344 veicoli, ma è un quarto del pre-Covid

A un primo sguardo si direbbe che il primo trimestre 2023 del noleggio auto a breve termine sia andato molto bene, segnando +138,13% immatricolazioni. Ma il settore è davvero ‘fuori dal tunnel’? Nei primi tre mesi del 2017 il noleggio a breve termine immatricolava 69.874 veicoli, 78.109 nel 2018 e 84.075 nel 2019. Oggi, nel 2023, raggiunge la quota di 21.344 veicoli, appena un quarto di quanto faceva prima del Covid.

Crescono tutti i segmenti, in particolare il Medium

Se il trend sarà confermato vedremo un 2023 positivo per il noleggio a breve termine, anche se lontano dagli standard a cui ci aveva abituato. In ogni caso, crescono tutti i segmenti, e in particolare il Medium, rappresentato da noleggiatori di medie dimensioni, che cresce di 6 volte. I due top player, Avis e Hertz, triplicano le immatricolazioni, e Europcar sorprende tutti decuplicando le immatricolazioni, da 206 a 2278. Ma come detto in precedenza, i dati del 2022 erano incredibilmente bassi.

Malaburocrazia: costa oltre 225 miliardi di euro l’anno

Le regole tortuose della burocrazia statale, i mancati pagamenti della PA, la lentezza della giustizia civile, il deficit infrastrutturale, gli sprechi nella sanità e nel trasporto pubblico locale sono da tempo una spina nel fianco dell’economia italiana. L’Ufficio studi della CGIA ha provato a stimare gli effetti economici di queste criticità, concludendo che dovrebbero interessare oltre 11 punti di Pil all’anno, ovvero circa 225 miliardi di euro. Si tratta di una cifra più che doppia dell’evasione tributaria e contributiva (stimata intorno ai 100 miliardi di euro l’anno), quasi doppia della spesa sanitaria (131,7 miliardi per il 2023), pari al Pil prodotto nel 2021 da tre Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia, e di poco inferiore alle risorse che l’Italia dovrà spendere entro il 2026 con il PNRR (235 miliardi).

Tra gli ultimi in UE per qualità dei servizi pubblici

Nonostante il problema fosse avvertito fin dagli inizi della Repubblica, a distanza di quasi 75 anni la lotta alla cattiva burocrazia non ha portato grandi risultati. Certo, l’avvento delle tecnologie informatiche ha reso meno impervio il rapporto tra i cittadini e gli uffici pubblici, ma le difficoltà rimangono e la percezione degli italiani sul livello di qualità reso dalla PA resta molto basso. Sebbene abbiamo recuperato qualche posizione rispetto al 2019, nell’ultima indagine campionaria realizzata a inizio 2023 l’Italia si colloca solo al 23° posto a livello europeo per la qualità offerta dai servizi pubblici. Tra i 27 paesi UE solo Romania, Portogallo, Bulgaria e Grecia presentano un risultato peggiore del nostro.

Male soprattutto Basilicata, Campania e Calabria

Anche a livello territoriale non brilliamo per qualità ed efficienza. Su 208 regioni europee monitorate nel 2021 dall’Università di Göteborg, la prima realtà italiana è al 100° posto ed è la Provincia Autonoma di Trento. Sconsolante poi la situazione che emerge dalla lettura dei dai riferiti alle regioni del Sud. Delle ultime 20 posizioni di questa graduatoria 5 sono occupate dalle regioni del Mezzogiorno: Puglia (190°), Sicilia (191°), Basilicata (196°), Campania (206°) e Calabria, penultima a livello europeo, al 207°. La graduatoria però non misura la qualità istituzionale dell’Amministrazione, bensì di tutte le società/enti pubblici presenti: Agenzia Entrate, ASL, Camere di Commercio, Comuni, CNR, Inail, Inps, Province, RAI, Regione, Rete Ferroviaria Italiana, Università, ecc.

I numeri dell’inefficienza

Di fatto, il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la PA è pari a 57,2 miliardi di euro. Inoltre, i debiti commerciali di parte corrente della PA nei confronti dei propri fornitori ammontano a 55,6 miliardi di euro, e la lentezza della giustizia costa al Paese 2 punti di Pil l’anno, ovvero 40 miliardi di euro. Il deficit logistico-infrastrutturale penalizza poi il nostro sistema economico per un importo di 40 miliardi di euro all’anno, e se gli sprechi nella sanità cubano oltre 21 miliardi di euro sprechi e inefficienze presenti nel settore del trasporto pubblico locale ammontano a 12,5 miliardi di euro all’anno.

Pmi nel 2023 pronte ad assumere, ma l’obiettivo è trattenere i talenti

A quanto emerge dall’Indagine di InfoJobs, Trend mercato del lavoro 2023, quest’anno l’87% degli HR intervistati conferma l’intenzione di assumere nuovi collaboratori, di cui il 46,6% in numero limitato per sostituire eventuali dimissionari (12,6%), e il 27,8% in numero elevato. Di contro, il 9,4% delle aziende non pensa a nuove assunzioni, nemmeno per sostituire i dimissionari, e il 3,7% valuta la riduzione del personale. Dal punto di vista della tipologia di contratti, per il 49,7% vigeranno i medesimi criteri del passato, un 40,1% punta a poche figure, ma qualitativamente selezionate, e il 10,2% preferisce contratti flessibili. Nel 2023 le Pmi italiane sono quindi pronte ad assumere, ma l’obiettivo primario è trattenere i talenti.

Valorizzare e riqualificare le risorse interne

Tra i temi più caldi affrontati dagli HR italiani emerge infatti la valorizzazione e la riqualificazione delle risorse interne. Sebbene il 47,6% non preveda azioni specifiche, e il 14,3% dichiari di dover ridurre l’organico, accompagnandolo con azioni di prepensionamento o percorsi di outplacement, cresce la consapevolezza dell’importanza degli investimenti in formazione e sviluppo (38,1%). Anche per l’impatto significativo delle dimissioni sul 2022. Il 55% degli HR ha infatti notato un incremento nel numero di dimissioni rispetto al passato, soprattutto tra i giovani, che secondo il 27,8% ricercano un posto migliore o un miglior work-life balance.

Azioni strategiche in ottica di retention

Ma c’è anche un 35,3% che non ha notato mutamenti nel numero di dimissioni rispetto al passato, e il 9,7% che vede addirittura nel momento storico, tra inflazione e aumento del costo della vita, una riduzione del numero di dimissionari. Proprio il tema dei rincari e delle congiunture socio-politico-economiche spinge oltre la metà delle aziende a ritenere strategiche azioni a sostegno dei propri dipendenti in ottica di retention. Per il 27,8% si tratta di benefit (buoni pasto, agevolazioni trasporti/parcheggi), il 16,5% valuta bonus/contributi aggiuntivi in busta paga, e il 15,8% pensa a una politica di aumenti o adeguamenti degli stipendi. Ma il 13,5% non trova necessaria alcuna azione, e il 26,3% sarebbe intenzionato a supportare i dipendenti, ma non gli è possibile per motivi economici.

I trend del mercato del lavoro

Poiché l’azienda deve interrogarsi su come essere ingaggiante per i suoi dipendenti, e non lasciarsi sfuggire le risorse migliori, secondo gli HR fra i trend del lavoro 2023 spiccano la retention (42,9%) e l’attraction (24,8%), magari attuando strategie multi-canale di employer branding per attrarre i migliori talenti. Un altro trend è la digital4human (12,8%): la tecnologia è infatti un alleato prezioso che se usato correttamente può davvero fare la differenza, anche nei processi di ricerca, selezione e gestione del personale. Ma vere e proprie sfide consisteranno nel conciliare i benefici del lavoro in presenza e da remoto (lavoro ibrido, 11,3%), e creare maggiore senso di appartenenza. E non solo per superare la distanza tra persone e azienda (diversity inclusion, 8,3%).

WhatsApp: le chiamate da sconosciuti verranno silenziate 

Una nuova funzione che ha l’obiettivo non solo di ridurre al minimo le interruzioni tra le chat, ma anche di evitare potenzialmente le chiamate spam e quelle pubblicitarie. WhatsApp sta infatti lavorando per introdurre un’opzione per silenziare, in automatico, le chiamate in arrivo da numeri sconosciuti. Le chiamate non saranno bloccate, e i numeri chiamanti appariranno comunque nell’elenco ‘chiamate’, situato nella barra superiore dell’app, al fianco di Chat e Stato. Attualmente la funzione è in fase di sviluppo per la versione Android della piattaforma, ma quando verrà introdotta sarà identificata da un menu aggiuntivo nelle impostazioni, e se abilitata, silenzierà tutte le chiamate provenienti dai numeri non presenti nella rubrica dell’utente.

Stop alle chiamate non desiderate

La funzione per silenziare le chiamate da sconosciuti presenta numerosi vantaggi, come la riduzione delle interruzioni e la potenziale prevenzione delle chiamate non desiderate. Uno dei problemi che affligge le community di WhatsApp è infatti la possibilità di essere raggiunti da chiunque faccia parte della community, visto che il numero di telefono del creator è sempre visibile. Questo comporta un serio problema perché chiunque potrebbe chiamare il creatore di una community, anche senza un valido motivo, indipendentemente dal fatto che abbia il permesso di farlo.

Ridurre lo spam e bloccare i truffatori

La nuova funzionalità può anche aiutare gli utenti a ridurre significativamente le chiamate spam. Negli ultimi anni le chiamate spam da parte di truffatori sono diventate un problema crescente, e le app di messaggistica istantanea non fanno eccezione. Anche le chiamate spam possono infatti essere pericolose: i truffatori possono chiamare gli utenti per rubare informazioni personali, indurre le persone a effettuare pagamenti o fornire dati sensibili. Tuttavia, WhatsApp offrirà la possibilità di bloccare e segnalare queste chiamate, e grazie a questa nuova funzione, gli utenti di WhatsApp potranno finalmente evitare di ricevere chiamate da numeri sconosciuti disattivandoli. In ogni caso, questa funzione è ancora in fase di sviluppo, quindi non è pronta per essere rilasciata ai beta tester, riferisce wabetainfo.com.

In arrivo anche un nuovo strumento di newsletter

La piattaforma di messaggistica istantanea sta anche lavorando a uno strumento di newsletter, che consentirebbe agli iscritti di ricevere facilmente aggiornamenti da persone e gruppi, come amministrazioni locali, squadre sportive e altre organizzazioni. La funzione renderebbe facile raggiungere un numero indefinito di utenti e pertanto non dovrebbe essere protetta dalla crittografia end-to-end. Tuttavia, riporta Ansa, il numero di telefono degli utenti che creano e si iscrivono a una newsletter sarà nascosto per questioni di privacy.

Morning routine, cos’è il trend che piace su TikTok

La sveglia, la colazione, lavarsi i denti, fare gli esercizi del mattino… Su TikTok sta spopolando la morning routine, ovvero le abitudini dell’inizio della giornata. Ovviamente “raccontate” dagli utenti del social attraverso un breve video. E’ a tutti gli effetti una tendenza fortissima sulla piattaforma, tanto che i video taggati #morningroutine “sono stati visti collettivamente 14,6 miliardi di volte”, conferma il Washington Post. Il quotidiano americano evidenzia come uno dei riti mattutini più comuni si chiama #5to9 ed è un esplicito riferimento a ciò che accade “tra le 5 e le 9 del mattino in cui le persone altamente motivate possono dedicare quattro ore alle faccende domestiche e alla cura di sé prima di iniziare la giornata lavorativa”.

“Motivare le persone” ad alzarsi

Sebbene il trend possa sembrare un po’ naïf – specie agli occhi dei boomer – gli esperti di TikTok sono convintissimi che questa pratica abbia effetti positivi. Come riporta Agi, i creatori del social  affermano di pubblicare i video “per motivare e ispirare le persone”, tant’è che gli esperti di salute comportamentale concordano sul fatto che “creare una routine sia generalmente un buon modo per costruire abitudini sane”. Anche se il messaggio principale che soggiace alla pubblicazione di questi video sul social media è che “il percorso verso il successo inizia alzandosi prima dell’alba”. Sarà davvero così? I dubbi sono leciti.

Perchè si guardano questi video?

Ma perchè le persone guardano questi video con simile entusiasmo? Alla domanda ha cercato di rispondere Sophia Choukas-Bradley, psicologa dell’Università di Pittsburgh. La dottoressa riferisce che guardare video di altri che realizzano delle cose è “gratificante per il nostro cervello” in quanto “siamo particolarmente attratti da qualsiasi tipo di contenuto dei social media che sia di successo, ambizioso, in ogni caso possibile e raggiungibile”. Così è tutto un mostrarsi e mostrare genitori che preparano i propri figli al mattino e in quale modo, corridori che documentano le loro corse, giovani professionisti che frullano verdure varie per colazione.

C’è anche qualche rischio

Anche in questo caso, però, esistono dei rischi. Come riferisce un’altra esperta, Jacqueline Nesi, docente di psichiatria alla Brown University,guardare simili video potrebbe essere dannoso per adolescenti e giovani adulti. Questi spesso si confrontano con gli altri online e “hanno maggiori probabilità di mostrare sintomi di depressione per il tempo trascorso sui social media” per via dei confronti negativi che fanno tra sé e tutti gli altri. Anche se non si tratta di niente di nuovo: vedi alla voce lavarsi i denti o prepararsi un frullato.

Salario Minimo: nel 2023 si alza la soglia?

In Italia il salario minimo è stato fissato a 9 euro l’ora per i lavoratori del settore privato. La soglia minima è stata fissata per garantire che i lavoratori abbiano una retribuzione dignitosa e adeguata al loro impegno e al loro lavoro, soprattutto badanti e colf. Secondo le linee guida della UE il salario minimo deve infatti garantire uno stile di vita equo e dignitoso. Tuttavia, non tutti i lavoratori hanno diritto al salario minimo, poiché alcune categorie di lavoratori, come i giovani in età di apprendistato, sono escluse da questa protezione. Ma cosa cambia nel 2023? E le novità come potrebbero influire sul mondo del lavoro in Italia e in Europa?

Un impatto sul mondo del lavoro

Nel 2023 alcune novità riguardanti il salario minimo potrebbero avere un impatto significativo sul mondo del lavoro. In primo luogo, la soglia minima in Italia potrebbe essere aumentata per garantire che i lavoratori abbiano una retribuzione ancora più adeguata al loro impegno e al loro lavoro. Inoltre, potrebbero essere introdotte nuove regolamentazioni per garantire che tutti i lavoratori, compresi quelli delle categorie protette, abbiano diritto al salario minimo. Novità che avrebbero un impatto significativo sulle aziende, soprattutto sulle piccole e medie imprese, che potrebbero trovarsi in difficoltà nel sostenere questi aumenti.

La garanzia di una retribuzione equa e dignitosa

In ogni caso, nel nostro Paese, attraverso i Contratti Collettivi Nazionali, già da tempo si è nel pieno rispetto di queste normative. Ad esempio, per i lavoratori del settore edile il salario minimo contrattuale è di 14 euro l’ora. Questo significa che un lavoratore del settore edile che lavora 40 ore a settimana riceve un salario minimo netto di 1.680 euro al mese per 13 mensilità. Anche a livello europeo il salario minimo è stato recentemente regolamentato. La nuova normativa prevede che tutti i lavoratori della UE abbiano diritto a un salario minimo adeguato, e che le aziende siano obbligate a rispettare queste norme. Questa nuova regolamentazione ha l’obiettivo di garantire che i lavoratori europei abbiano una retribuzione equa e dignitosa, indipendentemente dal paese in cui lavorano.

Obiettivo: ridurre la povertà e migliorare la qualità della vita

Il nuovo salario minimo europeo ha l’obiettivo di ridurre la povertà tra i lavoratori e migliorare la qualità della vita. Tuttavia, alcuni esperti temono che l’aumento del salario minimo possa causare un aumento dei prezzi, poiché le aziende potrebbero dover aumentare i listini per coprire i costi del salario minimo. Inoltre, c’è il rischio che alcune aziende decidano di ridurre il numero di dipendenti, o di delocalizzare la produzione in paesi con salari più bassi. Per questo motivo, le autorità tendono a intavolare trattative con sindacati e rappresentanti delle aziende, proprio per cercare di arrivare a un accordo che sia favorevole per aziende e lavoratori.

Commercio al dettaglio: nel 2022 crescono le vendite su base annua 

A dicembre 2022 su base annua l’Istat segnala un aumento del 3,4% in valore per le vendite al dettaglio, che però registrano un calo in volume pari al -4,4%. Un analogo andamento caratterizza sia le vendite dei beni alimentari (+5,8% in valore e -6,6% in volume) sia le vendite dei beni non alimentari, che segnano rispettivamente +1,7% in valore e -3,1% in volume. A dicembre 2022 l’Istat stima per le vendite al dettaglio un calo su base mensile del -0,2% in valore e del -0,7% in volume. In particolare, le vendite dei beni alimentari registrano un lieve aumento in valore (+0,1%) ma diminuiscono in volume (-0,6%), mentre quelle dei beni non alimentari calano sia in valore sia in volume, rispettivamente del -0,4% e del -0,8%.

Quarto trimestre 2022: crescite in valore, ma cali in volume

Nel quarto trimestre 2022, in termini congiunturali, le vendite al dettaglio crescono in valore del +0,4% e calano in volume del -1,8%. Le vendite dei beni alimentari sono in aumento in valore (+0,7%) e diminuiscono in volume (-2,6%) così come quelle dei beni non alimentari (+0,2% in valore e -1,2% in volume).

Beni non alimentari, variazioni tendenziali positive a eccezione della tecnologia

Per quanto riguarda i beni non alimentari, riferisce Italpress, si registrano variazioni tendenziali positive per tutti i gruppi di prodotti, a eccezione di Dotazioni per l’informatica, telecomunicazione e telefonia (-1,8%) e Prodotti farmaceutici (-2,7%). L’aumento maggiore riguarda i prodotti di profumeria e cura della persona (+8,4%). Inoltre, rispetto a dicembre 2021, il valore delle vendite al dettaglio è in crescita, seppure in maniera differenziata, per tutte le forme di vendita. La grande distribuzione segna un +6,5%, le imprese operanti su piccole superfici un +0,8%, le vendite al di fuori dei negozi un +1,2%, e il commercio elettronico registra un +0,3%.

L’aumento dei prodotti non alimentari non compensa il calo dei beni alimentari

“Nel complesso del 2022 le vendite al dettaglio in valore crescono rispetto all’anno precedente del +4,6% in entrambi i settori merceologici, mentre i volumi diminuiscono del -0,8% a causa del calo dei beni alimentari (-4,2%), non compensato dall’aumento dei prodotti non alimentari (+1,9%) – commenta l’Istat -. Tutti i trimestri dello scorso anno hanno visto incrementi congiunturali nel valore complessivo delle vendite, associati a una diminuzione dei relativi volumi. Nella media del 2022 la crescita in valore delle vendite ha caratterizzato tutte le forme distributive, seppure in misura molto differenziata, con gli aumenti maggiori registrati per la grande distribuzione specializzata e per i discount”.